La scampagnata a Sant’Angelo è morta?

Conversando una mattina presto, di ritorno dalla “corsetta”, nei pressi della statua di Padre Pio, un amico esprimeva la necessità di riprendere la tradizione delle scampagnate alla cappella di Sant’Angelo in montagna… Ci penso un po’ e lapidario dico che È IMPOSSIBILE,e forse anche inutile. Una risposta troppo lapidaria che dà la sensazione della reazione di un disfattista. Cinico si, disfattista no! In realtà è solo il frutto di una convinzione profonda che accompagna le mie riflessioni sulle tradizioni locali e sul modo di tenerle in vita. Mi chiedo spesso se c’è un modo per perpetuare un’usanza o una manifestazione della tradizione. Forse se siamo al punto di dovercelo chiedere, significa che questa è già morta e non ce se siamo accorti, oppure agonizza e siamo su quel cammino che ci porterà a stravolgere e svuotare di significati quello che invece vorremmo conservare. Ci troviamo davanti ad un caso di accanimento terapeutico.

Smarriti nello scorrere del tempo

Infondo se non saliamo più a Sant’Angelo per le scampagnate di Pasquetta un motivo ci sarà, e ci piaccia o meno sui fatti che coinvolgono la comunità un buon motivo c’è sempre. Ora… i primi a latitare questa tradizione, credo, sia stata proprio la generazione dei 50enni, interrompendo quel ricambio generazionale che garantiva la presenza di un piccolo gruppo deputato all’organizzazione e che era capace di facilitare la realizzazione della festa. Questo gruppetto di promozione spontanea era capace di segnare una data e trasformarla in un appuntamento ciclico, un rito che si ripete nel tempo. Questo ancora succedeva non più di 20/30 anni fa, ognuno di noi in questa foto (gentilmente messami a disposizione da Luigi Russo che ringrazio per il lavoro di raccolta di una preziosa memoria visiva), rivede conoscenti, amici o parenti… Ci siamo proprio noi in quella foto, eppure quelli della foto non ci sono più… cambiati, emigrati, smarriti nel corso degli anni. Siamo figli del nostro tempo, più che dei nostri genitori e delle loro usanze.

Abbiamo attraversato una trasformazione profonda, abbiamo rivoluzionato il nostro modo di vedere il mondo che ci circonda, abbiamo acquisito strumenti che hanno spostato i limiti del nostro sguardo, sono cambiate le nostre potenzialità e le nostre aspirazioni… Siamo cambiati! Guardando lontano ci riesce difficile guardare ciò che rimane vicino. Abbiamo inconsapevolmente prodotto un cambio di costume, un adeguamento dei nostri stili di vita e del nostro sistema di valori per rispondere alla proposta della contemporaneità. Così è cambiato il nostro sistema di relazioni con gli altri e con la struttura di usanze e tradizioni delle generazioni che ci hanno preceduto.

Mi vengono in mente moltissimi casi in cui il peso della modernità ha minato tradizioni che si tramandavano da centinaia di anni, di generazione in generazione. Quella che mi sembra più evidente, e che personalmente trovo più dolorosa è il rito delle Lucerne a Somma Vesuviana. Si RITO… oggi si chiama festa! Ma era un rito. Con il nome è cambiato il significato, il contenuto simbolico e la sua funzione sociale, che un tempo era anche magico-rituale.

A cadere sotto i colpi della modernità non sono le tradizioni o i riti, sono i significati che stanno sotto a queste e le alimentano, che le rendono momenti necessari, ineludibili. Quello che perde potere sono le letture simboliche che le persone e le comunità col tempo hanno smarrito. Il suono di un tamburo a primavera, o la stessa lucerna accesa nel buio della notte, perdono il loro valore rappresentativo smarrendo senza speranza la loro utilità.

Possiamo costruire più che restaurare

Quando sono arrivato a Pollena Trocchia, nel’78, avevo 9 anni e il salumiere di mia madre teneva ricordarmi, ogni volta che andassi per una commissione, che ero un forestiero, e come me lo era anche il mio vicino di casa. Non siamo più quelli della fine del secolo breve. La comunità si è trasformata, da organismo chiuso e quasi impermeabile in un’entità fluida con una capacità di difesa della propria identità sempre meno efficace. L’immigrazione, per esempio, ha giocato un ruolo importante su questa evoluzione della comunità.

Per questo credo sia anacronistico inseguire la restaurazione di tradizioni che hanno perso il loro valore antropologico, la loro necessità per quella comunità dovrebbe esprimerla. Il rischio sarebbe quello di esporre inutilmente le tradizioni culturali al rischio di diventare strutture vuote, pantomime utili solo a riempire il desiderio di distratti turisti affamati di avventure instagrammabili.

Dalla società dell’apparire all’essenza

Oggi più che mai, da cittadini della società dell’apparire, abbiamo bisogno di generare sostanza, di produrre senso e essenza.

È necessario che insieme, come comunità, come gruppo sociale ci prendiamo carico di diventare consapevoli interpreti della nostra storia, di segnare la contemporaneità con la cifra della nostra presenza, con la nostra intelligenza e la capacità di scrivere il nostro presente. Abbiamo un disperato bisogno di guardare vicino, di riconoscerci e di iniziare a raccontarci con quello che siamo oggi, senza il timore di sembrare inconsistenti.

Domando scusa al mio amico che in un genuino moto di attivismo ha incontrato la mia resistenza. Gli domando scusa perché non ci siamo più dati il tempo di parlarne, e anche perché nonostante ci conosciamo da moltissimi anni non siamo ancora riusciti ad aprire quel dialogo utile alla crescita dell’identità collettiva.

Immagini: per gentile concessione di VESUVIAMOCI…. Associazione Culturale

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